Gli effetti dei provvedimenti adottati dal Governo, oltre che dalle autorità di altri Stati, unitamente ad una pluralità di circostanze fattuali provocate dall’epidemia da Covid-19, stanno condizionando fortemente il regolare svolgimento dei rapporti contrattuali.

Ciò vale anche per il settore dell’eCommerce; se il trend delle vendite online di prodotti di largo consumo da lunedì 16 a domenica 22 marzo è stato del +142,3%, in rialzo di 45 punti percentuali rispetto al trend della settimana precedente (dati Nielsen), gli stessi numeri non sono stati registrati in relazione alle vendite di altri settori merceologici. Di fatto, dopo la pubblicazione del decreto di domenica 22 marzo, alcuni grandi siti di eCommerce e marchi del settore della moda hanno annunciato la chiusura dei propri magazzini e la conseguente sospensione delle consegne sino alla riapertura (così Yoox e, con esso, Moncler, Max Mara e Gucci).

Se si osservano le disposizioni vigenti, tutte le merci (quindi non solo quelle di prima necessità) possono essere trasportate sul territorio nazionale e il commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto, effettuato via internet, è espressamente previsto dall’allegato 1 al DPCM dell’11 marzo 2020, che continua a produrre i suoi effetti, in quanto richiamato e prorogato fino al 3 aprile dal DL 18/2020.

La vendita online di beni che non appartengono alla categoria della prima necessità può quindi proseguire senza interruzioni, ma deve essere limitata ai soli beni già esistenti in magazzino, posto che l’attività di produzione – non solo in Italia – è, invece, sospesa.

Così pure i servizi postali e le attività dei corrieri restano attivi, ma molti dei principali corrieri attivi in Italia hanno limitato le zone in cui lavorano ed hanno segnalato ritardi nelle consegne.

Le difficoltà delle aziende che vendono online

Ciò, chiaramente, incide sull’operato delle aziende che vendono online, le quali si possono trovare ad operare in un regime di grande difficoltà – nel caso in cui, ad esempio, non avessero magazzino, o non vi avessero più accesso, o scontassero la chiusura dei magazzini adibiti alla movimentazione delle merci – difficoltà che si ripercuote sulla loro capacità di ricevere e prestare beni e servizi, di adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali e di pianificare il proprio operato nel prossimo futuro.

Da un punto di vista giuridico, affinché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, deve essere offerta la prova della non imputabilità, anche remota, di tale evento impeditivo, non essendo rilevante, in mancanza, la configurabilità o meno del factum principis; ciò significa che il debitore è responsabile in tutti i casi in cui l’impossibilità dell’esecuzione sia conseguenza di un evento che, anche se non causalmente riconducibile ad una sua azione, egli aveva il dovere di scongiurare. E’ questo allora il momento di avviare opportune iniziative nell’interesse dell’azienda, partendo da una analisi dei contratti in essere e definendo correttamente il contenuto di quelli futuri.

Come evitare contenziosi

Ad esempio, riguardo ai contratti per i quali l’azienda è tenuta ad eseguire una prestazione/erogare un servizio, nell’intento di salvaguardare il rapporto contrattuale con i clienti – ove possibile – e di evitare futuri contenziosi, sarebbe utile inviare prontamente comunicazioni scritte ai destinatari delle medesime (di cui conservare copia) per informarli delle ragioni di fatto e/o di diritto che condizionano o impediscano l’esatto adempimento delle obbligazioni medesime, proponendo, al contempo, soluzioni alternative, quali, ed esempio, la sospensione degli effetti del contratto, la rideterminazione dei termini, l’offerta di prestazioni diverse o alternative rispetto a quelle pattuite, ovvero una revisione dei termini economici del contratto.

Ove invece sussistesse l’interesse a risolvere i rapporti contrattuali, potrebbe valutarsi la possibilità di eccepire l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, ai sensi dell’art. 1467 c.c., rimedio applicabile nel caso in cui la prestazione dovuta sia divenuta eccessivamente onerosa, ovvero troppo gravosa per il debitore a causa di eventi straordinari e imprevedibili (si pensi all’ipotesi di aumento improvviso di costi delle merci o del trasporto). L’onerosità sopravvenuta non produce però alcun effetto liberatorio automatico: in presenza delle condizioni e dei presupposti di operatività del rimedio in esame, la parte tenuta all’adempimento può infatti solo agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto.

In ordine, invece, ai rapporti contrattuali, rispetto ai quali l’azienda è acquirente/destinataria di beni e/o servizi, assicurarsi (ove possibile) la garanzia dell’adempimento dei propri contraenti e, in caso contrario, rinegoziare gli accordi o, quale extrema ratio, comunicare (laddove ne ricorrano i presupposti oggettivi) il venir meno dell’interesse a ricevere la prestazione o le ragioni della inutilizzabilità della stessa, in via temporanea o definitiva, e conseguentemente procedere alla sospensione o alla risoluzione del contratto. In ordine ai contratti da stipularsi in futuro, le analisi di carattere pratico muovono necessariamente dalla considerazione che le problematiche derivanti dalla epidemia del Coronavirus non potranno più considerarsi non conosciute o imprevedibili e sarà quindi utile farne espresso riferimento all’interno del contratto, nonché disciplinare, in anticipo, il caso di inadempimento della controparte tramite la previsione di clausole risolutive espresse. Sarebbe poi utile inserire termini di adempimento superiori a quelli effettivamente stimati o modalità di adempimento alternative, che consentano di far fronte all’eventuale aggravamento degli ostacoli di vario genere determinati dall’epidemia di Coronavirus, nonché di escludere o quanto meno limitare la responsabilità dell’azienda, nel caso in cui non sarà possibile adempiere esattamente o del tutto alle obbligazioni assunte.

Concretamente, nelle condizioni generali di vendita di beni sarebbe utile prevedere espressamente che l’esecuzione degli ordini può essere condizionata alla disponibilità dei prodotti a magazzino, la cui mancanza comporterà l’automatica risoluzione del contratto comunicata al cliente, cui seguirà la restituzione di quanto eventualmente già versato a titolo di prezzo.

Per quanto riguarda le spedizioni, l’art. 61 del Codice del Consumo prevede che, salvo diversa pattuizione delle parti, il professionista è obbligato a consegnare i beni al consumatore “senza ritardo ingiustificato”, e comunque al più tardi entro trenta giorni dalla data della conclusione del contratto. Può allora ritenersi giustificato il ritardo non prevedibile, ma non quello prevedibile. In tale ultimo caso potrebbe prevedersi un tempo supplementare, allo scadere del quale – in caso di mancata consegna – il consumatore è legittimato a risolvere il contratto, salvo comunque il diritto al risarcimento dei danni.